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“Il male aveva alla fine alterato l'equilibrio della mia anima. Il figlio dell'inferno non ha niente di umano. Niente vive in lui, all'infuori del terrore e dell'odio”
[Dottor Henry Jekyll]
Mancava poco meno di un’ora allo scoccare della mezzanotte; aveva nevicato quasi ininterrottamente negli ultimi giorni e il clima si manteneva rigido, con la città resa spettrale da una nebbia fitta e insistente che calava assieme al sole nelle ore serali. Seduto su una poltrona accanto al camino, con indosso una giacca da camera di velluto rosso e immerso nel silenzio del suo studio, Dorian Bayley osservava al di là della finestra. Aveva da poco terminato le indagini riguardanti l’omicidio del piccolo Percival Whipple, un caso che aveva scosso l’opinione pubblica e trovato enorme eco sui quotidiani. Aver consegnato alla giustizia il suo carnefice non lo aveva aiutato a ritrovare la serenità persa la sera in cui era stato chiamato sulla scena del crimine. Quale motivazione perversa fosse in grado di spingere un uomo ad assassinare un bambino di sette anni, al di là delle farneticazioni mistiche ripetute durante gli interrogatori, rimaneva, per lui, un mistero insondabile. Simon O’Brien, l’assassino, era nato con una malformazione della corteccia celebrale. C’era da chiedersi se qualche motivazione a quella assurda follia poteva essere attribuita alla menomazione oppure, alla deriva verso l’inferno, aveva contribuito una società che mostrava al mondo la sua magnificenza, nascondendo il marcio che ribolliva sotto la superficie.
L’uomo, immigrato dall’Irlanda a soli tredici anni, era stato un onesto lavoratore fino al giorno in cui la fabbrica di cotone nella quale era impiegato aveva deciso di privarsi di lui e di altri quindici operai. Da quel momento, un inutile vagare disperato in cerca di un nuovo lavoro, di un supporto da parte delle istituzioni, di qualcosa che lo aiutasse a non smarrire la propria dignità. Spinto dai morsi della fame si era, allora, avvicinato a un istituto di carità gestito da fantomatici esponenti di un movimento per la liberazione dall’immoralità che, al costo di una zuppa e una fetta di pane raffermo, erano riusciti a crearsi un piccolo esercito di fedeli, pronti a riconoscere nemici ovunque i capi spirituali decidessero di lanciare i loro anatemi.
Di quale torto poteva essere stato additato il piccolo Percival Whipple per meritare ventitré pugnalate tra il torace e il volto?
Essere nato al di fuori del matrimonio, poteva rappresentare agli occhi dell’assassino una valida giustificazione per tanta inumana ferocia?
I giornali avevano messo sotto accusa lo stato mentale dell’uomo, ma Dorian sapeva che sotto c’era dell’altro: le sue indagini lo avevano condotto nei quartieri più poveri e malfamati di Londra, vittime di un liberismo selvaggio che esigeva linfa vitale per alimentare la propria insaziabile fame di ricchezza. Si trattava di luoghi abbandonati a sé stessi, che le istituzioni avevano deliberatamente contribuito a trasformare in fogne a cielo aperto per avere a disposizione un’inesauribile fonte di manodopera a basso costo.
Dietro alla follia omicida di Simon O’Brien si nascondevano le responsabilità di un potere centrale che, pur di assecondare la propria sete di ricchezza, aveva sacrificato l’uomo sull’altare di un dio ipocrita.
Il lieve cigolio della maniglia interruppe di colpo quel malinconico viaggio mentale; la moglie entrò con un vassoio in mano. Dorian tornò in sé, sorrise, si alzò e le diede un bacio mentre la liberava dal leggero fardello.
“Tazze e teiera di porcellana, infusi, tè, e un pudding con uva e frutta secca” scandagliò il contenuto mentre faceva accomodare la moglie e si apprestava a distribuire cibo e bevande sul tavolino.
“Dovrebbe essere compito mio, questo” sorrise Victoria. “Chissà quanti pettegolezzi si udirebbero se le signore dell’alta società sapessero che un famoso ispettore di polizia serve la propria consorte”.
Conosciutisi durante una festa danzante, Dorian e Victoria erano convogliati a nozze prima di compiere vent’anni. La coppia aveva avuto un figlio, Samuel, misteriosamente scomparso all’età di cinque anni e mai più ritrovato. Era una storia tragica che stava ancora segnando la loro vita e che non avrebbe mai smesso di incidere ferite nel loro animo. Tornando a casa, e superato il cancelletto che immetteva nel giardino antistante l’ingresso, Dorian aveva trovato la moglie piangente tra le braccia della sorella; ripresasi, aveva raccontato di aver lasciato giocare il bambino mentre rientrava in casa per sbrigare una faccenda. Quando aveva smesso di udire la sua voce, era corsa allarmata ma, spalancando la porta che aveva lasciato socchiusa, si era accorta della sparizione. Le ricerche erano durate oltre due mesi senza portare ad alcun risultato; essendo emotivamente coinvolto, inoltre, a Dorian fu ordinato di tenersene fuori, almeno a livello ufficiale.
“Mia cara, hai preparato una cena deliziosa, continui a viziarmi come il primo giorno di matrimonio, gestisci la casa come meglio non potrei aspettarmi, nessuna più di te merita di essere servita come una signora, specie in una notte magica come questa”
“Dorian, vuoi per caso farmi arrossire?” con un vezzo elegante, si lisciò le guance con le dita.
“Pensavo solo che, tra pochi giorni, celebreremo il nostro trentaquattresimo anno di matrimonio” servì la moglie dopo aver versato il tè e una porzione di dolce nelle coppe di cristallo.
Alla donna si inumidirono gli occhi.
“Avrebbe dovuto essere qui con noi, questa sera; a Samuel il pudding piaceva molto”.
Dorian non rispose, ma socchiuse gli occhi per un istante.
“Avrebbe…” sussurrò prima di sederle accanto.
Victoria sorseggiò il tè, assaggiò il dolce, poi lo fissò: al di là delle apparenze, percepiva in Dorian un disagio interiore.
“Stai ancora pensando al bambino che hanno ucciso, vero?”
Dorian prese a giocare nervosamente con il cucchiaino.
“Aveva sette anni… sette!”
“Ti hanno affidato il caso solo dopo che l’omicidio era stato compiuto; cos’altro potevi fare se non dare pace a quella povera anima arrestando il colpevole?”
Dorian allungò un braccio, afferrò delicatamente la mano della moglie e la strinse.
“Di Simon O’Brien ne esistono decine a Londra, a cosa è servito catturarne uno?”
“Non puoi sperare di eliminare il male, Dorian”
“Cosa penseresti se decidessi di lasciare Scotland Yard?”
Victoria lo fissò con il solito sguardo amorevole.
“So solo che mi troveresti ad aspettarti come sempre, pronta a seguirti ovunque tu decidessi di andare”
“Non ti pesa aver sposato un uomo che a volte sparisce per giorni senza dare notizie?”
“Mi rattristisce saperti lontano, ma mi consola il fatto che lo fai per una nobile causa”.
Quando ebbero terminato, Dorian raccolse tazze e coppe vuote, e le sistemò nel vassoio. Invece di tornare a sedere, però, fece il giro della scrivania, aprì il cassettone centrale e ne estrasse una lettera.
“Pensi che, una volta tornato da Greystone, avrei dovuto dar credito alle parole di Madame Eleonor e spingere per far riaprire le indagini sulla scomparsa di nostro figlio?”
“Sono convinta che tu abbia preso la decisione più saggia; e, ora, che ne diresti se preparassi altro tè e ti servissi altro pudding mentre attendiamo lo scoccare della mezzanotte?”
Le ultime parole si confusero con il suono del campanello.
“Vai pure, apro io”.
Dorian si sistemò la giacca e si diresse alla porta; quando l’aprì, si trovò un agente in divisa con l’elmetto in mano. Il ragazzo aveva appena vent’anni; le sue guance erano rosse per il freddo. Bayley lo conosceva bene perché ultimamente gli era stato assegnato come aiutante. Il suo nome era William Stern.
“Sono mortificato, ispettore, ma il commissario capo in persona mi ha ordinato di venire a prenderla e scortarla fino a East Road; c’è una carrozza che ci attende”
“Deve essere qualcosa di importante se Carter ti ha dato quest’ordine”.
L’agente non capì se quelle parole rappresentassero un’affermazione o nascondessero una domanda; rimase in silenzio, ma prese a battere con i polpastrelli sul bordo dell’elmetto.
“Parla pure, agente, non ti mangio mica!”
A quelle parole, pronunciate con un sorriso rassicurante, il bobbies si rilassò.
“Alle 10:45 di questa sera, tale Axel Packard” lesse sul foglietto di un taccuino che aveva nel frattempo aperto, “ha denunciato l’assassinio di sua moglie, di nome Emma. Saputo dell’accaduto, e scoperta la vera identità dell’uomo, si tratta del vice direttore della Lloyd’s Bank di Londra, il commissario capo ha chiesto espressamente di lei, e mi ha incaricato di condurla sul luogo del delitto…” cambiò pagina, “… al 116 di East Road, Chelsea”
“Tutto chiaro; lasciami solo il tempo di indossare un abito e andiamo. Nel frattempo, entra, scaldati davanti al camino e serviti del buon tè caldo; da quanto ho capito, questa sarà una lunga notte”.